Introduzione in forma dialogica alla sezione “Πίνακες”
Lettore: Salute anche a te che scrivi. In cosa posso esserti utile?
Autore: Veramente, veramente… vorrei essere io, insieme con chi avrà il piacere di aiutarmi in questa impresa, ad essere utile a te, lettore, che, mi è stato riferito, sei desideroso di sapere qualcosa sull’arte.
Lettore: Stai dicendo che vorresti scrivere per me qualcosa? Ma, chi sei per permetterti tanta confidenza, dandomi del tu, intanto? Quali sono le tue credenziali? La tua biografia? Il tuo fitto curriculum? E poi non sai chi sono io!
A.: Scusami, lettore, non mi umiliare, però. Io sono una personcina educata e so perfettamente chi sei tu, conosco la tua cultura, i tuoi gusti, le tue tante benemerenze. Tuttavia, se hai cliccato su “Πίνακες” e stai leggendo queste righe, vuol dire che una qualche curiosità sul difficile ed estroso mondo dell’arte ce l’avrai pure. O no?
L.: Ad onor del vero, se trovassi uno o più autori dalla parola facillima ma pertinente, non mi dispiacerebbe mettere una pezza a qualche mia défaillance culturale.
A: Benissimo. È questo quello che volevo sentirti dire. E sai per quale ragione? Innanzitutto perché sia io che gli altri, che affronteremo il difficile mondo artistico passato e presente, abbiamo un grandissimo rispetto per te, poi perché penso che, se non ci fossi tu in prima linea, io e tutti quelli come me potremmo essere solo in mente dei. Afferrata l’antifona?
L.: Dunque, da quello che arguisco, il sottinteso è che dovrei essere io il vero protagonista della lettura degli articoli riguardanti l’arte? Sono proprio iiio, e non tu e tutti gli altri che scriverete? Trasecolo davvero.
A.: No, no, non è il caso. Anzi, per rafforzare il discorso aggiungo pure, che rifuggo e rifuggirò sempre dal linguaggio freddo e paludato dei maître à penser, che vogliono sottintendere: «Io so tutto e tu non sai niente. E, dunque, sei tu che devi apprendere, perché, sull’onor mio, sei una tabula rasa.»
L.: Calma, calma, carissima. Non ricominciare a confondermi. Io non sono affatto una tabula rasa, ho le mie belle idee, una formazione culturale brillante, tanti e tanti riconoscimenti, ho negli occhi l’ambiente in cui vivo, l’educazione ricevuta e così via elencando.
A.: Vedi, lettore, che mi dai ragione? Coinvolgendoti nei ragionamenti, come ti dicevo, potremmo risolvere qualche problemuccio, che ci porrà il campo artistico a cominciare dalla data in cui si fa iniziare la storia dell’arte italiana vera e propria.
L.: Cara la mia scrittrice, non mi credere tanto ignorante. Un’ideuzza ce l’avrei, dal momento che nell’occidente cristiano e per un lungo periodo le immagini sacre funzionavano da exemplum.
A.: Esatto, essendo considerate, per chi non sapeva leggere né scrivere, modelli di comportamento, in quanto agivano sull’identità del riguardante. Ma quando l’immagine diventa artistica…
L.: Cara la mia scrivente, scusa se ti interrompo, vuoi che non sappia che nel Medioevo le immagini che narravano le vite dei santi o di Gesù non diventavano modelli per la gente comune? Del resto quella era la Bibbia dei poveri. E ti dirò di più, visto che pensi che io sia ignorantuccio, solo all’inizio del Rinascimento, con la scoperta della prospettiva, nacquero le vere e proprie botteghe dei maestri.
A.: Benissimo! Non potevo sperare di meglio e so anche che mi starai aggiungendo che le figurazioni diventeranno artistiche da quel momento in poi.
Sono contenta, veh! Hai una buona base culturale. Infatti, a maggior chiarimento aggiungo che solo quando l’immagine sarà finzione dichiarata, nascerà la vera e propria: Storia dell’arte. In questo senso essa sarà generata dall’uomo e, pertanto, esprimerà la sua intuizione del mondo in uno con il sentimento che quell’intuizione ha generato.
L.: Vedi che adesso cominciamo a comprenderci meglio, dal momento che non mi consideri più tabula rasa?
A.: Questo non mi permetterei mai di dirlo, viste le tue tante benemerenze culturali!
Di conseguenza, sono sicurissima che, se mi seguirai attentamente, intenderai molto presto, che l’immagine creata dall’artista non segnerà una perfetta linea di demarcazione tra realtà e possibilità, ma le conterrà entrambe.
L.: Insomma, per tagliar corto, tu stai sostenendo che l’opera d’arte mira a fermare un gesto, un’emozione, un pensiero attraverso un colore, una forma, l’increspatura di un sentimento, che concorrerebbero a far sì che un frammento di spazio e tempo in armonia giungano a compimento? Del resto non è così anche per la poesia, ad esempio, o per la musica o che so io?
A.: Certamente, perché in arte è sì l’oggetto a prevalere, infatti, tu parli del Tondo Doni di Michelangelo, della Primavera del Botticelli e così via, ma nella realtà del fare è il soggetto che opera a occupare la scena attraverso il colore, la fantasia, la leggerezza delle figurazioni, l’invenzione delle forme e così via. In sintesi, man mano che leggerai i vari testi, non solo miei, ti si chiarirà meglio che il significato dell’opera non ti si darà mai in tutta la sua evidenza, si nasconderà, si velerà, perché tu possa s-velarla, che è come dire alzare il velo ma lasciarlo scendere di nuovo, per aprirlo ad altre ri-velazioni.
L.: Ho compreso benissimo i tuoi pensieri. Vedi, mia cara intenditrice d’arte, l’opera, qualunque opera: artistica, letteraria, musicale ecc. dovrebbe produrre ciò che nella lingua tedesca si chiama unheimlichkeit, che in italiano traduciamo a un di presso con spaesamento. Pertanto, di fronte a un prodotto artistico, noi dobbiamo avvertire quella coloritura affettiva, che ci fa sentire come fuori casa, fuori dal paesaggio conosciuto, come dire che esso deve mostrare l’altro lato delle cose del mondo, non quello che banalmente ci sta sotto gli occhi.
A.: Esattamente, amico caro. Sei teoricamente preparatissimo anche perché sai perfettamente che, in linea di principio, tutte le arti si assomigliano. Non per nulla un amico tuo di studi classici, un certo Plutarco, riferendo una frase di Simonide di Ceo, ebbe a dire: “La pittura è una poesia muta e la poesia una pittura parlante”.
L.: Hai detto benissimo. Mi sa, che nonostante l’apparenza, sei abbastanza preparata sulle lingue morte e sepolte, ma anche di qualcuna ancora in vita, se non sarà soverchiata dalla lingua che il buon Federico il Grande usava coi commercianti in quel famoso aneddoto, che conoscerai bene dai tempi della fanciullezza.
A.: Non ironizzare, caro Lettore, e comunque grazie della stima. Io penso che quando le persone ci sono simpatiche diventiamo più disponibili all’ascolto o alla lettura e io desidero essere accattivante, perché attraverso le parole mie o quelli di altri estimatori della materia, che vorranno farsi avanti, tu possa innamorarti dell’opera d’arte e dell’arte. Esse saranno come un’isola nella tua esistenza, come lo sono state per me e per tante altre persone, dove potrai rifugiarti nel momento in cui la vita normale ti darà una batosta, ti tradirà o non ti basterà.
L.: Sono molto d’accordo. Qualunque sapere può lenire dolori e tristezze. Sarà come trovarsi dentro un thémenos, uno spazio sacro, cioè, in cui si intensificherà il dialogo tra un soggetto e un’opera qualunque essa sia, di arte, musica, letteratura ecc.
A.: È così, carissimo. È proprio questa quella che chiamano l’avventura dello sguardo, individuale e privato, che ti darà l’emozione della scoperta al cospetto della bellezza dell’opera.
Essa, se vissuta con stupor, ti indurrà all’io penso, ti indurrà al movimento dell’immaginazione, dell’intelletto, della sensibilità… allorché incontrerà la forma per lasciarla poi fluire.
L.: Il tuo intento, carissima, a questo punto mi sembra ambizioso. E dimmi, come farete sia tu che gli altri intenditori della branca riguardante l’arte? Voglio dire: quale sarà il piano dell’opera?
A.: Dunque, per non portarla troppo per le lunghe, il disegno è stato e sarà questo: inizierò io col gettare una pietruzza di pensiero. In seguito, quando se ne presenterà l’occasione, io o un altro te ne getteranno ancora e poi ancora… Queste, come l’eco di perle che prillano su un pavimento, si richiameranno reciprocamente, costringendoti ogni volta a rivedere quanto hai letto e ad approfondirlo via via. In tal modo le nozioni apprese diventeranno carne della tua carne e quindi cultura.
L.: Progetto ardito e decisamente diverso dai soliti testi noiosi con vita, morte e passione dell’autore, nonché collocazione delle opere.
A.: Piano, piano, lettore, non correre! Qualche cenno storico sarà necessario anche per inquadrare personaggi, opere, ambienti, culture del periodo in cui gli artisti vissero e “lessero” il loro spirito del tempo, alias zeitgeist.
L.: Allora, vediamo se ho capito perfettamente. In pratica tu o altri costringerete la mia mente a un costante andirivieni, che mi permetterà di approfondire a poco a poco i concetti appresi, di modo che alla fine diventeranno mio patrimonio intellettuale.
A.: Bravissimo, proprio così. Comprenderai che solo in questo modo si possa affinare il tuo pensiero che cerca di comprendere. E come posso/possiamo farlo se non attraverso la parola?
L.: Belle dichiarazioni, senza dubbio. Ma dimmi, la parola non rischierà di essere fuorviante rispetto all’immagine, servendosi le due branche di codici espressivi diversi?
A.: Lettore carissimo, non ci sono altri mezzi, purtroppo. La parola è una gemma che vedi allacciata al collo delle immagini. Così, se esprimi a parole un concetto che si riferisce a una figurazione qualsivoglia, questo al pari della figurazione, rispetto a un tertium (il fruitore), è come uno scrigno dentro cui stanno le due gemme (parola e immagine) ma, ogni volta che vengono indossate, cambiano in relazione alle persone, fatti, circostanze.
L.: Benissimo mi sembri convincente. Se manterrai/manterrete le promesse e le premesse sarò un attento lettore.
A.: Quali mai parole furono più gradite all’orecchio di chi si accinge a una fatica da Sisifo? E stai certo che faremo del nostro meglio, per rendere gradevoli i vari articoli, non solo miei, ma di chiunque vorrà intervenire anche semplicemente per esprimere un pensiero, un paragone, un dissenso.
A questo punto non mi resta altro, seguendo il solito luogo comune, che ringraziarti per l’attenzione e augurarti buona lettura.
Lidia Pizzo