Il
tema dell’acqua ieri e oggi Relazione convegno CLE Roma 29/04/05 Maria Luisa Giampietro |
La
scelta del tema di questo nostro convegno - l’acqua- non ha ovviamente
bisogno di giustificazione alcuna; tutti sanno,infatti, quale ruolo
importante abbia giocato e tuttora gioca l’acqua, la cui storia, se la
si volesse tracciare,finirebbe per coincidere con la storia stessa del
mondo. Tuttavia
ci sembra necessaria qualche breve nota introduttiva ai lavori di questo
nostro convegno, che, per evidenti limiti non può pretendere di esaurire
tutti gli ambiti possibili che il nostro tema tocca. Gli
aspetti dell’acqua oggetto di indagine sono infatti molteplici: da
quelli biologici a quelli materiali, da quelli sociali a quelli religiosi
fino a quelli simbolici; essi attraversano le varie culture e, per
rimanere nell’ambito scolastico, anche le più diverse discipline come
la chimica,la fisica,la storia, la letteratura, la religione. Giacché
l’acqua è essa stessa un elemento trasversale, fluido, mutevole e
proteiforme: si pensi alle nevi, ai ghiacci, ai vapori, alle nuvole, alle
nebbie. Essa è dolce, salata, salmastra; si rovescia dalle nubi, scorre
sulla superficie della terra e nelle sue viscere. Insomma si riversa
diversamente nella terra, nella natura tutta, nell’uomo, e quindi nella
storia e nella cultura. Ad
esempio, tutte le culture del mondo, e non solo quelle occidentali,
rimandano al valore fondante e generante dell’acqua. Basti pensare, per
limitarci alle culture occidentali, all’antica dottrina cosmogonica
greca che, attraverso le parole di Omero, Esiodo, Platone, indica
l’acqua, e in particolare quella dell’Oceano,
come l’elemento primordiale dell’universo: “ Gaia giacendo con Urano
generò Oceano che è all’origine di tutto” ( Omero, Iliade, XIV, v.
201). Talete
di Mileto considera l’acqua l’arché, il principio del cosmo ed
Eraclito afferma che panta rei, tutto scorre, e cha l’acqua è principio e fine. Il
poeta Pindaro ci ricorda che “ il bene più prezioso è l’acqua” (
Olimpica, I ); e queste antichissime concezioni filosofiche sembrano
confermate dalle recenti scoperte della biologia sull’origine della
terra e sulla vita dell’uomo. E
il corpo umano non è forse costituito per il 70% di acqua? Non siamo per
nove mesi avvolti dal liquido amniotico? E non è forse il sangue,
principio di vita e di morte, costituito in gran parte di acqua? E non è
forse la morte prosciugamento dei nostri corpi? Insomma
l’acqua non è mai una cosa sola: essa è al tempo stesso limite ed
infinito; amica e nemica: è l’acqua “gioiosa” e l’acqua
“oscura”. Fin
dalle antiche pagine della letteratura è presente la natura ambivalente
di questo elemento: l’acqua del mare, cangiante, è determinante nel
viaggio di ritorno di Ulisse da Troia verso Itaca, il mare con i suoi
pericoli, le sue sirene, i mostri marini come Scilla e Cariddi, ma anche
l’acqua quale possibilità di ritorno e di salvezza come il fiume che
porta Ulisse nella terra dei Feaci o il mare avvistato finalmente dai
soldati sconfitti e in ritirata nella “Anabasi” di Senofonte.
L’acqua è il territorio della sfida temeraria per il superamento dei
limiti nell’Ulisse dantesco, ma essa stessa strumento di punizione del
folle volo dell’eroe greco: “ che de la nuova terra un turbo nacque,/
e percosse del legno del primo campo./Tre volte il fé girar con tutte
l’acque;/ a la quarta levar la poppa in suso e la prora ire in giù,
com’altrui piacque,/ infin che ‘l mar fu sovra noi rinchiuso”
(Inferno XXVI vv. 137-142). Sempre
elemento di devastazione e punizione divina è l’acqua nei miti antichi
relativi al diluvio universale, un mito presente nella tradizione orale e
scritta di quasi 400 comunità nel mondo. Un mito che da una parte adombra
eventi risalenti alle grandi inondazioni causate dai disgeli
post-glaciali, dall’altra rinvia ai motivi religiosi della purificazione
e delle rigenerazione. Il mito del diluvio lo troviamo, per citare
culture a noi più vicine, nella tradizione letteraria greca:
Deucalione e Pirra sono gli unici superstiti del diluvio scatenato da Zeus
per punire l’umanità malvagia; nella Genesi si narra di Noè e della
sua famiglia sopravvissuti al diluvio ed eletti a ricostituire l’umanità.
Nell’epopea di Gilgamesh leggiamo di Utnapishtim che il dio Ea sceglie
per continuare la stirpe umana dopo il diluvio. L’eletto che si salva è
il simbolo dell’uomo purificato e rigenerato che ritrova la vita
nell’acqua, fonte di morte per gli altri. All’acqua del Nilo viene
affidata la cesta di Mosé, a quella del Tevere la cesta di Romolo e Remo,
acqua che li risparmia e addirittura e li prepara a un grande futuro. L’acqua
è infatti strumento di purificazione in tantissime culture: si pensi al
rito del battesimo cristiano, o alle abluzioni dei musulmani o alle
immersioni nei fiumi sacri degli induisti ecc. Le
antiche civiltà, come sappiamo, sono sorte lungo i fiumi, da quelle ben
note come la mesopotamica e l’egiziana a quelle più lontane
dell’Indo, del Gange, del fiume giallo, del Missisipi, perché essi
offrivano terreno fertile sia per le coltivazioni agricole sia per i
contatti e gli scambi economici e culturali sia per una vera e propria
cultura del fiume. Presso
i Greci i fiumi erano ritenuti figli di Oceano, divinità essi stessi e
padri delle ninfe; e non si potevano attraversare se non si erano compiuti
riti di purificazione. Esiodo
ammonisce: “Non attraversare mai l’acqua dalla bella corrente dei
fiumi perenni, senza aver prima rivolto una preghiera guardando le belle
acque che scorrono ed esserti lavato le mani con la limpida acqua soave. (Es.
Op., 737 e ss.) . E
lungo i corsi d’acqua o presso le fonti trovano il loro ambiente
naturale molti miti e leggende tanto in età antica che moderna, nonché
molti templi e santuari. L’universo
acqueo dei fiumi, ma anche del mare, e in particolare del mare nostrum –
il Mediterraneo – ha definito le varie culture e le civiltà dei vari
popoli che presso di esso hanno abitato
e hanno costruito dialoghi e scambi, separatezze e chiusure. L’acqua
ha impegnato la capacità, l’abilità e la fantasia degli uomini per
raccoglierla , conservarla, distribuirla. Su di essa si è basata la
fortuna, la durata, lo sviluppo di molte comunità grandi e piccole.
Qualcuno sostiene che si potrebbe scrivere la storia e la cultura di un
popolo, la costruzione della sua identità e delle forme di
autorappresentazione proprio a partire dal rapporto che esso ha con
l’acqua, quale è
il caso della civiltà e della cultura dei Romani. L’acqua
è un bene diffuso in natura, in forme diverse come già abbiamo detto e
non in modo uniforme; ma disporne ha sempre richiesto – salvo rare
eccezioni – fatica, dedizione, perizia, cura, saperi, tecniche.
E i Romani sull’acqua ci hanno lasciato in eredità un grande
patrimonio di tecniche e saperi diversi e complessi. Chiunque percorra la
campagna romana ancora oggi può notare le lunghe arcate degli acquedotti
che l’attraversano. L’acquedotto è una delle più tipiche espressioni
monumentali di questo lavoro di raccolta e distribuzione delle acque; non
che già non si conoscessero tecniche di condotta delle acque , già
attestata presso i Sumeri, tuttavia l’acquedotto come opera monumentale
sopraelevata è creazione romana, come ci testimoniano sia i resti
archeologici che gli scritti di Frontino, Vitruvio, Plinio il vecchio. Ma
sulla costruzione, il funzionamento e l’amministrazione delle acque si
fermeranno più a lungo e in maniera specifica le relazioni Vismara e
Ronchi. Ovviamente
legati all’acqua non sono solo gli acquedotti, ma una serie notevole di
edifici e strutture che vanno dalle cisterne ai condotti ai canali alle
fontane ai ninfei alle latrine ai bagni, alle terme, impianti
quest’ultimi inizialmente modesti poi sempre più grandi, più comodi
e più attrezzati , il che la dice lunga sulla cura del corpo e
dello spirito degli antichi Romani, fondata sugli stessi principi della
moderna idroterapia. Un
discorso più circostanziato meriterebbero le acque medicamentose usate
ampiamente fin da epoche lontane, come attestano doni votivi offerti alle
divinità a cui si facevano risalire i poteri curativi delle acque. La
loro efficacia si poteva sperimentare sia immergendosi che bevendola.
Dalla Grecia la moda dell’acqua si diffuse a Roma grazie ai medici
arrivati a Roma ed in particolare ad Asclepiade di Prusia nel I sec. a. C.
L’idroterapia oltre ad avere una funzione curativa e igienica presentava
anche risvolti sociali: le terme erano occasioni di incontri, di giochi e
di svaghi . Le acque termali che caddero in disuso e in rovina durante i l
Medioevo, ripresero agli
inizi del XIII sec. ad essere usate di nuovo con regolarità: famose
le stazioni termali toscane come Bagni di Lucca, Bagno Pignoni, Bagni di
San Giuliano dove, oltre le cure secondo i precetti ripresi dai medici
antichi come Galeno, Ippocrate, Avicenna e trattamenti secondo i principi
codificati dal Regimen Sanitatis della
scuola Salernitana, si leggevano e si ascoltavano novelle narrate dai
compagni di cura. Alle terme sono ambientate numerose novelle di Giovanni
Boccaccio, di Franco Sacchetti, di Giovanni Sercambi e addirittura
Sabadino degli Arienti dà alla sua raccolta di novelle il titolo di “Porrettane”
dal nome della famosa stazione termale. Che
l’acqua, infine, sia spesso oggetto di ispirazione letteraria è ben
noto: celebri le fonti cantate dai poeti come la Bandusia dell’ode
oraziana, o quelle del Clitumno cantate da Carducci , o le Chiare,
fresche et dolci acque,
scenario dell’amore di Petrarca per madonna Laura, o i miti di trasformazione legati all’acqua, tra cui quello
celebre di Narciso, nelle Metamorfosi
di Ovidio, su cui ci intratterrà la relazione Iodice. Un’ulteriore
considerazione conviene avanzare in conclusione di questo nostro limitato
intervento: oltre che con la presenza dell’acqua, spesso in forma anche
distruttrice – le tempeste, le alluvioni. i maremoti, le inondazioni (
come non riandare con la memoria al recente Tsunami ?) -, le società e le
culture del passato nonché quelle del presente devono fare i conti con le
conseguenze non meno devastanti della scarsezza dell’acqua. Sappiamo
bene come riti e culti per provocare la pioggia siano presenti nelle varie
culture. L’acqua è un bene naturale, ma non
è concessa gratuitamente; spesso è stata – ed è, ahimé – un
lusso, un privilegio, un segno di potere. La donna che cammina con
l’orcio o con il barile sulla testa è una delle icone del paesaggio del
Sud; donne e bambini che vanno a prendere l’acqua a fonti spesso lontane
dal paese esprimono a pieno il rapporto difficile e doloroso con l’acqua
potabile. In
Fontamara di Silone il podestà del paese ed i proprietari terrieri
sottraggono ai contadini l’acqua con la quale irrigano gli orti che
danno loro un precario sostentamento. L’acqua diventa nel romanzo
metafora dell’oppressione delle popolazioni meridionali nonché della
loro volontà di riscatto. L’acqua
è tuttora un eloquente
parametro della disuguaglianza dei cittadini del mondo. Un occidentale ne
consuma ogni giorno una quantità 6 volte maggiore di quella usata da un
indiano e 30 volte più grande di quella di un abitante di un villaggio
del Kenia. Secondo l’ultimo rapporto Unicef ogni giorno 4000 bambini
muoiono per mancanza di acqua e/o per l’insufficienza di condizioni
igienico-sanitarie. Una guerra terribile, subdola, non dichiarata che
semina morte e non ha l’attenzione che meriterebbe da parte dei media ,
ma che vorrei che ciascuno di noi ricordasse ogni qual volta apre un
rubinetto per contrastare quella cultura dello spreco così diffusa nei
paesi ricchi e quell’illusione che l’acqua sia un bene scontato e
inesauribile. |