ATRIVM&DIDATTICA

Rainer Weissengruber, presidente del
Centrum Latinitatis Europae

Dilemmi e tendenze dell'insegnamento del Latino nei Paesi di lingua tedesca

Il Latino e il Greco si insegnano ancora. Anche se in vari paesi europei (e anche - e forse soprattutto - in quelli di lingua tedesca) la filosofia politica è assai ostile alle lingue e culture classiche, nella frenetica corsa al “moderno” e all' “utile” . E ciò mentre l'interesse generale per le epoche antiche è assai vivo, se non cresciuto negli ultimi anni, quasi all'insaputa di noi insegnanti. In Germania e in Austria il mercato del libro fa registrare un grande boom di tematiche antiche e anche gli argomenti dell'umanesimo sono tornati di nuovo a galla. In crisi è finito però l'originale, l'autentico. Siamo in una società tipo Readers'Digest, di cultura all'incirca. Qualche fascino però resiste. Ma anche il Latino resiste. Resiste anche, non dappertutto, ma in alcune regioni e in alcune scuole, l'insegnamento del Latino nella sua “langform”, ciò è nella dimensione 5 o 6 anni – con poche ore alla settimana, però. A mala pena, anche per colpa di noi latinisti, perché siamo spesso troppo filologi e troppo poco umanisti. Siamo insegnanti di lingua (morta) o siamo diffusori di cultura ? La domanda è sulla tavola delle riunioni informali, non delle commissioni ufficiali di programmazione scolastica. Le riunioni di latinisti si tengono sempre più frequentemente, in tutta l'area tedesca. Ma sono riunioni chiuse. L'interdisciplinarietà non è di casa tra le file dei filologi super-classici, tradizionali. La tradizione, ufficialmente bocciata a gran voce, vive e frena talvolta il rinnovamento. Ed è forse questa la causa principale perché almeno nei paesi di lingua tedesca noi filologi viviamo con un problema di immagine. Siamo riguardati custodi di un museo, narratori di storie del “c'era una volta”, o semplicemente cultori di ginnastica grammaticale, di gare di traduzione, o peggio: investigatori alla ricerca di errori. C è chi ha cercato di difendere le lingue antiche a spada tratta (come si esprimono alcuni), e quindi con atteggiamenti quasi marziali, un po'alla vecchia prussiana, e dovete sapere che in Prussica il liceo tradizionale era sempre vicino alle accademie militari. Ma c'e anche chi difende il Latino con la penna sottile e con la bocca gentile (come diciamo noi del CLE) o – e sarebbe la via migliore: con il nostro modo di essere latinisti e grecisti vivaci e accattivanti (come dovremmo fare ed essere tutti noi.) Il Latino esiste, resiste, rivive, può entusiasmare, e in alcuni casi riappare rinfrescato, con formule e procedimenti nuovi di trasmissione, malgrado la strategia non sempre saggia di molti latinisti di difendere il Latino con il viso serio e severo invece di rilanciare i nostri tesori con serenità e iniziative giuste. C'è chi sperimenta soprattutto nelle classi inferiori del liceo, con i ragazzi che hanno 13 anni, chi fa un Latino sportivo, un “agon” al quale sono invitati tutti. Ma il ferreo rito della traduzione acribica, sostenuto ancora da molti secondo vecchi schemi e regole antiquate, inasprisce la situazione. Il quadro è quindi contrastato, nero e bianco uno accanto all'altro. Comunicare ai ragazzi di 13-14 anni che il Latino è una lingua da tradurre, e solo (!) da tradurre, è consuetudine, nonostante i riformatori che fanno di tutto per rendere variopinto il quadro della situazione. Agli alunni viene comunicato, peraltro senza gran successo, che la traduzione potrà essere fedele, valida già in se stessa. Un ragazzo potrà capire che “tradurre” è un buono valido già per se stesso ? Ho dei dubbi. Un ragazzo potrà capire che una lingua morta può essere anche viva, se viva la rendiamo noi insegnanti ? Certamente si, fino a un certo grado.
Anche le forze dell'economia nei paesi di lingua tedesca hanno scoperto negli ultimissimi tempi che l'insegnamento del Latino ha la sua ragion d'essere. In Germania alcune note aziende si esprimono in favore del Liceo Classico, il che significa nella terminologia tedesca ed austriaca 5 o 6 anni di Latino. Per il Greco la situazione è sensibilmente più critica. Le aziende che privilegiano i diplomati in lettere non sono poche, anche in terre lontane dalla cultura antica. Possibile che i rappresentanti del grande business non hanno cambiato atteggiamento di fondo, è difficile pensare che viene capito il vero valore dello spirito della cultura antica. Appare evidente il valore da disciplina utile per imparare a ragionare. Una scuola della logica quindi, utile per la logistica. Il “ragionare classico” in funzione della vita di oggi. Un argomento stretto, ma utile, assai lontano dalla tradizione classica, lontano da ogni romanticismo. Ragionare bene e con una logica brillante serve all'economia soprattutto in un'”epoca di terziario avanzato”. Bisogna sapere che la Germania e l'Austria sono oramai paesi con un alto grado di “spirito post-industriale”, servono uomini capaci di ragionare, la produzione in senso classico avviene piuttosto altrove. I paesi di lingua tedesca sono laboratori di progettazione, ateliers del concetto, investono molto in ricerca e quindi felice può essere chi ha imparato ad imparare. Lingua Latina ancilla .
Le riforme scolastiche tedesche ed austriache – a patto che pare che nessuno le conosce fino in fondo - con tutte le vicende tortuose e contraddittorie prevede un certo spazio per le lingue classiche, precario che sia, e con mille insidie pericolose. La parola magica è “autonomia” della scuola, del singolo istituto. Opportunità e trappola nello stesso tempo. L'autonomia scolastica è diventata perfino un'ossessione.
Forse bisogna sottolineare a questo punto che i licei nei paesi di lingua tedesca sono in un certo senso “omnicomprensivi”, nel senso che non esiste la scuola media. In liceo si entra all'età di dieci anni, dopo quattro anni di scuola elementare, i primi quattro anni sono il “liceo inferiore”, poi segue il “liceo superore”. Il carattere classico (o meno classico) inizia quindi già in prima classe, all'età di dieci anni. Proprio questo “liceo lungo” crea delle tensioni. Molti chiedono il “liceo inferiore unificato o standardizzato” (Gesamtschule, un cavallo di battaglia della politica socialista degli anni '70, dopo adottato anche dai partiti di destra) per garantire trasferimenti più facili da una scuola all'altra. Ed ecco il rischio e la mina vagante che minaccia ogni liceo: I primi anni dovrebbero essere uguali in tutte le scuole, nonostante il tipo di liceo. In quel contesto il Latino nel liceo inferiore diventa sempre più un miraggio. O almeno una materia che molti vogliono abbattere o mettere in concorrenza con le lingue viventi appena introdotte, come lo spagnolo p.e. . Queste guerre si fanno da trent'anni. Con un discreto successo: Sono molte le scuole che abbandonano il latino nelle prime classi, pur rivendicando ancora la fama del liceo a pieno titolo.
D'altra parte mi sono giunte anche delle notizie da scuole in Germania che hanno reintrodotto il Latino già nelle classi inferiori. Esempi da contare sulle dita di una mano, ma comunque da non sottovalutare. Mancano ancora i numeri per poter dire se queste nuove offerte hanno un impatto sulla società o una prospettiva operativa per il futuro.
Non dobbiamo cadere, quindi, nella trappola delle illusioni. Da nessuna parte ci sarà fornita la dichiarazione di garanzia. Tanto meno in un tempo che si dichiara dinamico e pronto a tutte le mutazioni pensabili. Siamo chiamati noi latinisti tedeschi ed austriaci a darci uno sforzo particolare, una vera spiegazione di forze del cervello, dello spirito, dell'anima, del cuore, che non avrà nessun effetto se non sarà basato su una vera rivoluzione interna del nostro modo e della nostra filosofia di insegnare – e soprattutto di essere. L'entusiasmo visibile deve essere più forte della tradizionale precisione super-filologica. L'argomento della buona tradizione di 150 anni di liceo classico non basta. Gli edifici scolastici tedeschi ed austriaci sono spesso veri gioielli d'architettura e anche ben curati. L'atmosfera respira lo spirito classicista di generazioni di scolari che hanno studiato abbondantemente Omero e Virigilio, Cicerone e Livio, con pazienza e tenacia, senza discussioni. Il liceo era quello che era. Ma di quei giorni parlano soltanto le targhe, con le scritte in oro sullo sfondo nero e l'alloro finto attorno. Con lo spirito burgkhardtiano e le considerazioni di Winkelmann non si possono attirare i genitori di oggi. (Sono sempre loro a decidere sugli indirizzi delle scuole mandando li i figli o non.) Lontani sono anche i tempi dei maestri che non hanno mai lasciato il posto davanti al tavolone, l'insegnamento frontale era indiscusso.
Oggi tutto è cambiato: Urge un insegnamento che deve essere una azione duratura di accompagnare lo studente “per aspera ad astra”, attraversando anche quelle difficoltà che a noi latinisti sembrano banali. Ne ho parlato recentemente davanti a latinisti italiani ed esteri a Trieste alla nuova Summer School of Classics. Queste mie considerazioni non sono inedite. Ma certe cose bisogna ripetere, per sottolineare la loro importanza: Il Latino non può essere una serie di lezioni che hanno come unico contenuto la traduzione, parola per parola, non può essere un semplice corso di “trasformazione di testi” da una lingua all'altra e con lo scopo di imparare ad evitare errori e sbagli. Non può essere un semplice corso di grammatica, non può essere un continuo esercizio di morfologia e sintassi, anche se queste cose bisogna insegnare bene e consolidare in vista dei futuri contenuti della materia. Il Latino non può essere presentato (o peggio: venduto) con l'etichetta della sola tradizione. Lo stemma nobile non è sufficiente, il proverbio nobile in un Latino elegante, schietto e snello non salva l'atmosfera. E tanto meno il continuo parlare del valore del Latino per salvare i tesori del passato. Piace o no, non dobbiamo parlare troppo di passato, bisogna parlare del futuro. Ciò soprattutto in una società che è post-industriale, che deve affrontare i problemi del tempo libero in abbondanza. Soprattutto la Germania è un paradiso del divertimento. Un paese che forse ha voglia di cultura proprio perché è afflitto dalla noia del recente passato industriale e del presente super-tecnologico. L'insegnamento del latino deve offrire un tuffo in un mare di pensieri attuali, di contenuti che nessun'altra materia può offrire: un piccolo universo culturale, di avventure, di un mondo creduto morto e stranamente vivo. Il Latino in noi, uomini dei tempi di oggi. Non solo “lingua latina”, ma “latinitas”. E ciò non solo poche settimane prima degli esami di stato, ma dall'inizio dell'insegnamento. Non nascondo che anche nelle elementari si dovrebbe parlare di più di questa nostra Europa latina. Di Europa si parla nelle scuole dell'Europa Centrale, ma non di quella latina.
Viene richiesta una disponibilità forte e permanente come mai prima, a reinterpretare, o piuttosto ridefinire la nostra azione d'insegnamento, il nostro stato d'animo, il nostro “habitus”, lo scopo supremo (autentico, speriamo) del nostro “docere”. Troppo spesso è stato commesso l'errore di fare tale esame di coscienza solo quando si trattava di affrontare le tematiche riservate alle classi superiori. Con quelle domande dobbiamo confrontarci fin dalla prima ora di latino, magari davanti a quei ragazzi che sono entrati nel “liceo inferiore” con insegnamento di Latino (!), e non sanno la causa per la quale frequentano questi banchi di scuola e non altri. Forse non lo sanno neanche i loro genitori.
La domanda di fondo è: Docere, come e con quale stato mentale, con quale identificazione, con quale filosofia e con quale immagine del giovane che dobbiamo accompagnare? Con quali strumenti e con quali procedure? Docere come impegno su vari livelli: intellettuale, emotivo, artistico. Se vogliamo portare il latino nelle classi inferiori, non dobbiamo essere riconoscibili come “latinisti”, ma come uomini che abbondano di cultura viva, allegra, accativante, in una parola: cultura a 360 gradi. Un fatto del cervello e dell'animo, del cuore e del istinto. Perché docere è un'arte.
Pedagogia, vuol dire condurre i giovani, pedagogia non invadente, ma costante e con emozioni finissime, sottili, raffinate – in un mondo caratterizzato dagli impatti fin troppo forti. L'attuale tendenza filosofica che tocca i paesi di lingua tedesca, una specie di visione universale del mondo e della vita, rende più probabile un successo in quella direzione.
La questione di base è tripla. Il Latino come materia linguistica o come materia culturale per antonomasia? “LA materia culturale” quindi. Non pochi in Germania e Austria la rivendicano. In ogni caso un Latino autentico e non semplificato artificialmente, anche perché il Latino più bello e più nobile non è complicato, ma è proprio quello chiaro e semplice. I giovani devono capire che il Latino è bello perché è trasparente, come lingua e come cultura. Simplicitas vincit. Un Latino che è rimasto una lingua viva, un essere vivente fuori dalla gabbie della tradizione, fuori dalle prigioni della traduzione, lontano da ogni tradimento. Ma anche lontano da modifiche e manomissioni improprie. Ci sono casi in cui per esprimere un pensiero in italiano o tedesco occorrono dieci o dodici parole, e in latino ne bastano quattro o cinque. Brevitas vincit. Il Latino è un bene in evoluzione, certo, ma non deve essere vittima di storture. Illustrarlo come una lingua chiara e perciò semplice fa bene, ma non è necessario banalizzarlo, renderlo troppo facile. I giovani vanno stimolati ad affrontare anche alcune difficoltà. La tendenza didattica predominante nei paesi di lingua tedesca è quella di alzare il livello delle prestazioni. Troppe azioni di semplificazione non possono creare, a lunga andata, piacere nei giovani perché un bel giorno si renderanno conto che non hanno imparato il Latino vero, ma un secondo “esperanto” del quale il mondo non ha bisogno. Dobbiamo renderci conto che anche per i giovani il tempo è prezioso. In una società che vive con la velocità in tutte le cose, parlo appunto dei paesi di lingua e mentalità tedesca, bisogna calcolare i tempi a disposizione. Non dobbiamo fare lo sbaglio di tentare di sostituire l'inglese dal latino, in quel caso il latino perde di sicuro. In quel caso noi latinisti siamo i bersagli di tutti, e neppure a torto.
Penso a una anima europea non imprigionata dalla tradizione, ma sostenuta dalla consapevolezza della “sostanza in movimento” della civitas europea. Il Latino come lingua di identificazione, non da veicolo linguistico quotidiano. In Germania ci sono alcuni “estremisti” del Latino che vogliono parlarlo in ogni momento della vita. Anche questa è una tendenza, ma non vincente. Con tutta l'ammirazione per l'idealismo palese,voglio dire: il “troppo” può anche nuocere. Nel mondo scolastico bisogna navigare a vista ed evitare ogni sorta di estremismo. In ambedue le direzioni. Essere riguardati ridicoli non aiuta per niente. Non possiamo tornare indietro nella storia, dobbiamo inserirci noi nel contesto che ci circonda.
Sia chiaro: La tentata fuga verso una scuola superiore senza lingue classiche sarebbe una fuga verso una scuola non-europea, qualunquista dispersa e sospesa nel mondo anonimo. La tradizione scolastica ha sicuramente una ragion d'essere. La sola imbalsamazione del Latino , però, non ha senso e non è per niente sufficiente. Se tradizione vuol dire adorazione di mummie, saremo dei poveri custodi di un museo morto.

Molto spesso le tradizioni liceali tedesche ed austriache sono diventate gabbie. Nel caso della Germania e dell'Austria la filosofia metodologica regnante, quella della traduzione meticolosa, dominava il “mercato” delle pubblicazioni didattiche per molte generazioni. Una tradizione che doveva servire da spina dorsale e che è venuta insufficiente nel frattempo. Ma spesso i riformatori si trovano come il famoso Gabbiano Ionathan. Se una battaglia per il rinnovamento viene vinta in Italia, per esempio con il metodo naturale o con altre metodologie interessanti, la vicenda non è vinta in Europa. Se parlo di vicenda non penso solo agli ostacoli che la politica e la società creano al rilancio e al consolidamento degli studi del Latino e del Greco, ma anche alla piccola (e nello stesso tempo grande) fatica quotidiana che gli studenti devono subire davanti a un testo che appare difficile, indecifrabile, pieno di insidie e quindi noioso e già per questo antipatico. Ai margini del discorso voglio dire che anche i testi da leggere sui banchi di scuola sono rimasti sempre gli stessi fino a pochi anni fa: decenni e decenni di ripetizioni, e solo pochi insegnanti hanno rotto il “canone” dell'usuale. Alcuni propongono oggi dei programmi non basati su un elenco di autori, ma su elenchi tematici. Una tendenza che si diffonde, sempre di più.
In tutta l'area non prettamente neolatina (vale a dire nei paesi germanici, anglosassoni e slavi) il latino è davvero lingua straniera, e non viene considerata “lingua degli antenati”. Il Latino viene da fuori, anche se fuori non era mai, vista la Latinità “subcutanea” di molte delle civiltà europee. Anche i Paesi germanici hanno sin dai tempi del Sacro Romano Impero un forte elemento latino che è andato dimenticato, ma non è perso. Certamente il minor impatto della cultura ecclesiastica sulla società - a parte il fatto che la Chiesa è già lontana dal Latino per molti aspetti – si fa sentire. L'eredità linguistica latina è assai indiretta (o almeno pare di esserlo) per essere percepita automaticamente, le trasformazioni lessicali, morfologiche e semantiche sono troppo gravi per permettere una percezione di rapporto madre-figlia. E poi ci sono le parole prettamente non-latine, germaniche o celtiche appunto. Il Latino è “lontano”, e difficile perché nettamente diverso dal tessuto linguistico della proprio lingua. Ma c è anche un'altro fatto, in un certo senso positivo: il Latino è “lontano”- e quindi appetibile, interessante perché esotico, strano ed estraneo, magari un lusso culturale ed intellettuale, e perfino uno “status symbol” della borghesia d'elite o di quella che si crede tale. È la chance per le “famiglie di cultura” di darsi un profilo socio-culturale. Si intende da se che questi aspetti sono già problematici in se stessi. Il Latino e la cultura classica latina appaiono come dei beni d'importazione, un oggetti quindi preziosi, per qualche verso stranieri e quindi belli, giusti per il “salotto di buona famiglia”. I libri dei poeti antichi si inserivano molto bene negli ambienti “Biedermayr” della Vienna della fine dell'800 e dell' “Altdeutsche Stil” della Berlino del primo '900. In tale senso il Latino godeva anche di un posto d'onore.. Un motivo sincero, quindi ? Visto anche il fatto che l'approccio si fa o almeno si faceva tramite la traduzione (!) e non tramite la lingua come bene integrato nella propria vita. Una tradizione della traduzione che doveva colpire già i piccoli all'età di 11 anni. Ho detto appositamente: colpire. Spesso l'arrivo del Latino sui banchi degli alunni di prima classe era davvero un colpo. Centocinquant'anni di tradizione, traduzione e tradimento. Eccoci qua.
Centocinquant'anni di tradizione romantica, eroica, snaturante e falsificante. La traduzione dal Latino in un tedesco assai discuttibile, perchè artificiale e poco naturale aggiungeva il suo. Ancora un tradimento. Forse ciò non ha validità negli occhi dei giovani, ma almeno in quegli dei genitori che a loro volta hanno studiato le “lingue nobili” sui banchi dei licei d'elite di tanti anni fa, con un palese atteggiamento di addestramento borghese e perfino militare. I licei prussiani con la loro tradizione quasi marziale servivano da modello per tutto il mondo di lingua tedesca. Tradition oblige, tradizione obbliga, e sono tentato di aggiungere: la traduzione anche. Ma non solo per amore per la cultura, ma per dotarsi di un marchio di qualità. La cultura del marchio è diffusa in Germania e in Austria, come in pochi paesi.
Ma attenzione: Se però dilaga la mania del “credo” tecnologico e consumistico, come è da parecchio tempo il caso nei paesi del Nord in una misura non più comprensibile, il Latino perde subito l'aura e il carisma del gioiello prezioso. Cito per un attimo il caso della Svizzera, dove il latino è quasi scomparso, del Greco non parliamo, anche dalle scuole più nobili, ivi compreso il Canton Ticino che in teoria dovrebbe sentirsi particolarmente legato al mondo latino.
La situazione in Austria è particolarmente difficile: L'Austria è un piccolo paese, la società è afflitta dall'impressione di essere in ritardo rispetto ai grandi paesi europei, e quindi si fa di tutto per lanciarsi a tutti i costi in un mare di modernismi. Il Latino ne è una vittima. Ora sembra che siamo arrivati a una fase di consolidamento, le scuole con un discreto spazio per il Latino si mantengono, alcune sono anche riconosciute, ma non sappiamo se siamo solo all'occhio del ciclone o davvero in acque tranquille. In ogni modo: la tregua consente una riflessione più approfondita e passi decisi per il rinnovamento dell'insegnamento del Latino. Nessuno però può programmare il futuro, e la didattica ne risente.

Ogni azione didattica deve partire dalla domanda sincera e coraggiosa: Cosa vogliamo trasmettere ai giovani nelle nostre ore di Latino ? Quale peso vogliamo dare noi latinisti al Latino in una società non neo-latina, ma sospesa tra le tradizioni tedesche e l'inglese “chic” invadente da tutti i lati? Una più vasta comprensione dei testi, dei loro contenuti, dei significati palesi e nascosti, delle allusioni sottilissime, dei motivi e dei simboli, delle metafore e parabole, dei mezzi stilistici e perfino un po'di poesia, e quindi l'arte di scrivere e quella (ancora più importante) di capire? E forse quest'ultima è ancora più difficile da imparare. Non solo il “corretto” e lo “sbagliato”, ma anche il “buono” e il “cattivo”, il “bello” e il “brutto”. Non dobbiamo dimenticare che in francese si parla di “belles lettres”. Categorie che di solito le materie matematiche ed informatiche non possono offrire. E neanche le scienze naturali se non viste assieme alla filosofia, all'etica, alla teologia e più in generale alle lettere. Il nostro insegnamento potrebbe essere quindi multidimensionale.
O vogliamo limitarci soltanto a un esercizio linguistico, alla matematica delle parole, a esercizi di ginnastica grammaticale, a una “tour del force” della morfologia e della sintassi”? L'art pour l'art del Latino e del Greco? Vogliamo aggiungere altri anni di “filosofia della ripetizione” ai 150 anni appena passati?
In poche parole: vogliamo dare spazio al rinnovamento?

La domanda tutto cruda si impone: Quale è il fine supremo, quindi ultimo, della nostra azione ? Da dove partiamo e fin dove vogliamo arrivare ? Non sarà che vogliamo far capire ai nostri giovani il messaggio e quindi il contenuto di un patrimonio ? Dato che noi siamo i custodi, piuttosto mal pagati, ma un po'sacerdoti di un dono divino. Capire, assumere, interiorizzare, integrare nella propria anima ? In una visione universale, che comprende tutto l'uomo nel suo essere, il cervello e l' anima. Per farlo diventare modello di vita ? Per farlo diventare un vademecum per sempre ? Un “ktema eis aei “. Tutto ciò senza utopie, niente “esperanto” artificiale, ma Latino vero e vivo. Un Latino che trova molto bene il suo spazio giusto in un'Europa che si rinnova e alla quale noi stessi crediamo. Lo spirito dei tempi attuali permette un “credo” ? Tendenze chiare cercansi. C è un po'di nebbia.
Se oggi alla formazione dei giovani viene chiesto sempre di più un atteggiamento mentale universale, universalistico, integrale ed integrativo, pluralistico e omnicomprensivo, “globale” se vogliamo, è chiaro che anche l'insegnamento delle lingue classiche dovrebbe essere cosi, molto di più che un addestramento linguistico. Molto di più che un corso di traduzione. Magari un'avventura, che consente anche qualche sperimentazione. E ciò è molto di più che una tradizione riciclata. E voglio ripetere: “molto di più”, il che significa: non senza il primo. Il nostro insegnamento deve conoscere bene il destinatario. Se non vogliamo capire la gioventù di oggi, se la crediamo “come sempre”, abbiamo perso già in partenza. Piace o no, dobbiamo cercare di capire i giovani e il loro mondo. Ma dobbiamo mantenere noi stessi la nostra filosofia, niente svendita del nostro “credo” per essere riguardati bravi e belli dai giovani. Anche noi filologi dobbiamo conoscere e saper spiegare lo spirito dei tempi, ma con il nostro bagaglio di filosofie ed esperienze.
Dove mettere quindi gli accenti, cosa privilegiare, cosa accantonare, dove fare i tagli ? E cosa ritirare dall'oblio, rispolverare, rilanciare ?
Una relazione che deve parlare di “tendenze” deve anche parlare di tagli da fare.
Tagli fondamentali che riguardano il nostro approccio alla materia: Il Latino non è il nucleo della vita scolastica di oggi. È una delle materie principali, questo ruolo mi permetto di rivendicare ancora. Da questa posizione non mollerò. Ma va visto integrato in un ventaglio di materie tutte importanti, delle quali nessuna è una materia-nemica del Latino.
Tagli fondamentali che riguardano la dimensione didattica: Soprattutto nelle classi del “liceo inferiore” bisogna ridurre le ore di latino la dove sono davvero in esubero. Se noi latinisti ci accontentiamo di tre o quattro ore settimanali nella fascia di età tra i tredici e quindici anni, almeno in Austria e in Germania possiamo trovare simpatia da parte dei genitori, con cinque ore settimanali siamo fuori dai tempi attuali. Nessun liceo potrà mantenersi sul mercato con troppe ore di latino, meglio limitarsi e fare un insegnamento molto concentrato, intensissimo e anche - lo dico volutamente – un po' più severo rispetto agli anni passati, nei quali abbiamo abbassato notevolmente il livello delle prestazioni richieste. Il “discount” non ci ha portato niente, né in termini di qualità né in termini di comprensione da parte della società.
Sul mercato troviamo tutta una vasta gamma di libri per i primi due anni di insegnamento grammaticale. La linea generale è assai unificata: Siamo oramai lontani dall'insegnamento declinazione dopo declinazione, si procede invece assai trasversalmente, imitando in parte i procedimenti delle lingue moderne. I risultati però sono un po'scarsi. Nessuno dei corsi sul mercato ha soddisfatto davvero. Bisogna quindi integrare i capitoli grammaticali che nelle lezioni stesse sono solo presentati in parti (e quasi mai approfonditi) da apposite integrazioni da parte dell'insegnante. In un certo senso un k.o. dei metodi proposti. Mancano da una parte libri che seguono il vecchio metodo, ma con lezioni più interessanti, testi accattivanti e un po'di lingua viva, mancano dall'altra parte i metodi moderni seguiti con perseveranza, tipo metodo Orberg. Non c è dubbio: viviamo dei momenti di grande confusione. Una linea maestra non c è. Io personalmente mi augurerei individuare un corso che procede con chiarezza grammaticale e con elenchi riassuntivi chiari ed esaurienti e con testi tutt'altro che noiosi. Oppure un corso tipo metodo naturale, ma per fare ciò bisognerebbe avere la garanzia di tempo in abbondanza e di autorità scolastiche assai tolleranti. Va detto che almeno in Austria il controllo da parte dei provveditorati anche in termini di metodi adoperati esiste ancora. Non è facile sperimentare radicalmente.
Per consolidare o riproporre l'insegnamento del Latino nelle classi inferiori, con un numero di ore di lezione limitato, per non dire limitatissimo, non possiamo andare avanti con soluzioni a metà. O la chiarezza didattica e strutturale tradizionale, ma con testi completamente rinnovati e resi vivi e variopinti, con esercizi direi quasi sportivi e un certo elemento “ludico”, o un metodo radicalmente nuovo che spiega la lingua latina “per se stessa illustrata”, ma per fare ciò ci vuole la garanzia di assoluta libertà didattica e un maggior numero di ore settimanali a disposizione. In un mondo scolastico, ancora caratterizzato dalla filosofia del controllo da parte delle autorità, lo spazio di manovra per un rinnovamento sostanziale, per una sperimentazione con libertà garantita, per un ripensamento della filosofia del “docere” non è grande.
Non credo che nei paesi di lingua tedesca esiste una tendenza dominante, sennon quella dei lodevoli tentativi di rendere vivace e colorito l'insegnamento,e i libri scolastici, pur nella parziale confusione metodologica. I latinisti giovani sono assai motivati, molti hanno capito che bisogna proporre ai giovani anche capitoli di storia culturale, ma ciò che manca da molte parti è la disponibilità (e forse anche la capacità) a interpretazioni di testi con atteggiamenti non solo filologici, ma anche filosofici, culturali, storici ed antropologici. L'interdisciplinarietà viene sempre rivendicata, ed è questo già un fatto positivo, ma solo pochi la praticano, e poche scuole – vale a dire poche presidenze – danno lo spazio per farla. A questo punto bisogna parlare della rivista “Der Altsprachliche Unterricht”, la più autorevole testata tedesca in termini di didattica del Latino e del Greco. Bisogna parlare anche della rivista “DOCERE” che viene proposta dall'Academia Vivarium Novum e dal Centrum Latinitatis Europae, e che ripropone in esclusiva alcuni articoli tradotti parola per parola in italiano, e tenta quindi di portare alcune considerazioni di oltralpe in Italia. E parlo un attimo anche di ZETESIS che accoglie articoli miei che riassumono i contenuti del dibattito didattico nell' Europa Centrale. Gli adetti ai lavori hanno già scoperto che ci sono differenze di non poco conto tra i due mondi scolastici. Bisogna dire con franchezza che non pochi articoli della rivista tedesca propongono delle vere e proprie utopie che possono essere stimoli preziosi, ma non possono essere tradotti in realtà punto per punto.
In questo quadro tra tradizione e utopia, con molte incertezze e dubbi, l'insegnamento del Latino in Germania e Austria va avanti, non troppo male, ma minacciato non solo dalla politica assai anti-latino, ma anche dalla confusione che noi latinisti abbiamo tra le nostre righe, in fatti di didattica, ma anche di filosofia di fondo: siamo soprattutto filologi, o siamo concessionari di cultura generale con un po' di latino ?
C è da augurarsi che la confusione potrà partorire prodotti nuovi, quelli attuali non sono pienamente soddisfacienti.



 


Ultimo aggiornamento della pagina: 17 Marzo 2003